B. F. Skinner – Il destino individuale

L’uomo interiormente libero, ritenuto responsabile del comportamento dell’organismo esterno, è soltanto un surrogato prescientifico... compito doloroso della scienza è sempre stato quello di spodestare le più dirette convinzioni riguardo al posto occupato dall’uomo nell’universo.

Una riflessione sempre attuale di uno dei maggiori protagonisti del pensiero scientifico del Novecento. 

Burrhus Frederic Skinner
“Il pensiero occidentale mette in rilievo l’importanza e la dignità dell’individuo. Le filosofie democratiche dello stato, fondate sui « diritti dell’uomo », asseriscono che tutti gli individui sono uguali davanti alla legge e che il benessere dell’individuo costituisce la meta dell’ordinamento statale. Nelle analoghe filosofie della religione, si lascia all’individuo stesso, invece che ad un’agenzia religiosa, l’amministrazione della pietà e della salvazione. La letteratura e l’arte democratica danno importanza non al tipo ma all’individuo e spesso si sono occupate dell’aumento della conoscenza e della comprensione che di se stesso ha l’uomo. Molte scuole psicoterapeutiche hanno accolto la dottrina secondo la quale l’uomo è padrone del proprio destino. Nel campo dell’educazione, della pianificazione sociale e in molti altri, al primo posto si è messa la considerazione del benessere e della dignità dell’individuo.

Non si può affatto negare l’efficacia di questo punto di vista: le pratiche ad esso connesse hanno dato all’individuo il vigore di appartenente energico ed attivo della collettività. L’individuo che « si afferma » è quello che per il quale l’ambiente sociale è particolarmente rafforzante, effetto prodotto in particolare dall’ambiente cha ha caratterizzato il pensiero democratico occidentale. Quel punto di vista assume particolare importanza in opposizione al controllo dispotico e si può difatti capire soltanto in rapporto a questo tipo di controllo: il primo passo verso il controcontrollo di un’agenzia potente è quello di irrobustire colui che è soggetto al controllo. Se non si può fare in modo che l’agenzia statuale capisca il valore che per lei stessa riveste l’individuo, questo valore lo si deve far capire senz’altro all’individuo. L’efficacia della tecnica è resa evidente dal fatto che i governi dispotici finiscono per essere controcontrollati da parte di individui che agiscono in vista della costruzione di un mondo che ritengono più rafforzante; e in effetti le agenzie statuali che riconoscono l’importanza dell’individuo diventano spesso potenti.

L’uso di concetti quali libertà individuale, iniziativa privata e responsabilità personale è stato perciò molto rafforzato. Quando però torniamo a ciò che la scienza ha da offrire, non troviamo un conforto molto sicuro per il punto di vista tradizionale occidentale. L’ipotesi che l’uomo non sia libero è essenziale all’applicazione del metodo scientifico allo studio del comportamento umano. L’uomo interiormente libero, ritenuto responsabile del comportamento dell’organismo esterno, è soltanto un surrogato prescientifico di quel tipo di cause che sono state scoperte nel corso di un’analisi scientifica, le quali giacciono tutte all’esterno dell’individuo: persino lo stesso sostrato biologico viene determinato da eventi precedenti verificatesi in un processo genetico. Altri eventi importanti si trovano nell’ambiente non sociale e nella cultura dell’individuo intesa nel senso più ampio possibile. Queste sono le cose che fanno comportare l’individuo come si comporta. Egli non ne è responsabile ed è inutile dargliene lode o biasimo: non importa che l’individuo assuma sulle proprie spalle il peso di controllare le variabili di cui il comportamento è funzione o, in senso più ampio, di impegnarsi nella progettazione della propria cultura. Egli lo fa soltanto perché è il prodotto di una cultura che genera, quale modulo di comportamento, l’autocontrollo o la progettazione culturale. L’ambiente determina l’individuo perfino quando l’individuo altera l’ambiente.

Un po’ alla volta si è giunti ad ammettere, da parte di coloro che si occupano dei mutamenti nella sorte dell’umanità, l’importanza prioritaria dell’ambiente. È molto più efficace cambiare la cultura piuttosto che l’individuo dato che qualunque effetto sull’individuo in quanto tale andrà perduto alla sua morte: poiché le cultura sopravvivono per periodi molto più lunghi, un effetto su di loro è più rafforzante. Si ha una distinzione analoga tra la medicina clinica, che si occupa della salute dell’individuo, e la scienza medica, che si occupa di far progredire le pratiche mediche che poi finiranno per influire sulla salute di miliardi di individui. È presumibile che divenendo sempre più evidente l’incidenza dell’ambiente sociale sul comportamento dell’individuo, questa importanza attribuita alla cultura si accrescerà. Si potrebbe perciò ritenere necessario passare da un filosofia che mette in primo piano l’individuo ad una che gli preferisca la cultura o la collettività. Ma anche le culture mutano e periscono, e non si deve dimenticare che sono state create dall’azione individuale e che sopravvivono soltanto grazie al comportamento di individui.

La scienza non pone la collettività o lo stato al di sopra dell’individuo o viceversa. Tutte le interpretazioni di questo genere derivano da un’infelice figura retorica, presa on prestito da certi casi preminenti di controllo. Per analizzare la determinazione della condotta umana abbiamo scelto come punto di partenza un anello di particolare rilievo in una lunga catena causale. Quando un individuo manipola in modo adeguato le variabili di cui è funzione il comportamento di un altro individuo, si dice che il primo controlla il secondo, ma non ci si domanda chi o che cosa controlla il primo. Quando un sistema statuale controlla in modo pertinente i suoi cittadini, si esamina questo fatto senza identificare gli eventi che controllano il sistema statuale. Quando si dà forza all’individuo per farne uno strumento di contro controllo, lo si può ritenere, come avviene nelle filosofie democratiche, un punti di partenza. In realtà però non si ha motivo di assegnare a nessuno e a nulla il ruolo di motore primo. Sebbene la scienza si limiti necessariamente a trascegliere dei segmenti in una serie continua di eventi, è all’intera serie che qualunque interpretazione deve finire per applicarsi.

Ma anche così, la concezione dell’individuo che emerge da una analisi scientifica è sgradevole per tutti coloro che abbiano fortemente subito l’influsso delle filosofie democratiche. Come abbiamo detto fin dal primo capitolo, compito doloroso della scienza è sempre stato quello di spodestare le più dirette convinzioni riguardo al posto occupato dall’uomo nell’universo. È facile comprendere perché gli uomini tanto spesso lusinghino se stessi, perché diano al mondo caratteristiche che li rafforzino fornendo loro una via di fuga dalle conseguenze della critica o di altre forme di punizione. Ma sebbene le lusinghe irrobustiscono temporaneamente il comportamento, è da mettere in dubbio che riescano ad avere un definitivo valore di sopravvivenza. Se la scienza non conferma i postulati della libertà, dell’iniziativa privata e della responsabilità personale nel comportamento dell’individuo, essi in fondo non avranno neppure l’efficacia di congegni motivanti o di mete da proporre alla progettazione della cultura. Non ce ne possiamo disfare alla leggera e infatti possiamo trovare difficoltà a controllare noi stessi o gli altri finché non si siano sviluppati dei principi alternativi. Ma il mutamento verrà probabilmente introdotto, e non ne segue che concetti più nuovi debbano necessariamente essere meno accettabili. Ci si può consolare con la riflessione che la scienza è in fondo un progresso cumulativo di conoscenza dovuto all’uomo soltanto e che la somma dignità umana può consistere nell’accettazione della realtà del comportamento umano a prescindere dalle sue implicazioni circoscritte.”

Burrhus Frederic Skinner, Scienza e comportamento, Franco Angeli, Milano 1992, pp. 504-506

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